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La farmacia come presidio sanitario: quando dalle parole si passa ai fatti.

Propagandata come soluzione alla crisi strutturale delle farmacie, la farmacia dei servizi è rimasta in molti casi un'utopia. Tuttavia, esistono delle realtà virtuose dove il farmacista collabora davvero con i medici per la gestione del paziente cronico, si occupa attivamente di aderenza terapeutica e opera sulla base di criteri di evidenza scientifica. In questa intervista alla dottoressa Bianca Peretti, Farmacisti Al Lavoro vi parlerà di una farmacia che ha saputo trasformare l'utopia in realtà.

La farmacia come presidio sanitario: quando dalle parole si passa ai fatti.

Farmacisti al Lavoro

L’immagine delle farmacie come presidio sanitario è pura illusione, se è vero che solo il 10% degli italiani si rivolge al farmacista per questioni di salute.

La farmacia italiana si trova ad un bivio. Da un lato, a livello istituzionale, continua ad essere descritta come primo presidio sanitario sul territorio. Dall’altro, però, viene spesso percepita dal pubblico come un negozio- e il farmacista come un commesso–  tanto che una recente quanto deludente statistica ha rivelato come solo nel 10% dei casi gli italiani si rivolgano alla nostra categoria per ottenere informazioni sulla salute. Tanto per dire, amici e parenti ci danno venti punti percentuali di distacco, per non parlare del dottor Google. La farmacia dei servizi, un modello di farmacia che avrebbe dovuto traghettarci nel nuovo millennio e risolvere la nostra crisi strutturale, è rimasta in molti casi un’utopia e in molte farmacie si continua a lavorare esattamente come si lavorava dieci anni fa. E il divario con modelli di farmacia dove il farmacista è massimamente valorizzato dal punto di vista professionale, pensiamo per esempio al sistema inglese, continua ad aumentare.

Nonostante questa crisi strutturale, esistono realtà virtuose che si sono mosse senza aspettare che le soluzioni piovessero dall’alto.

Per fortuna, in questo non felice contesto storico esistono dei colleghi che hanno saputo reinterpretare al meglio la nostra professione, riappropriandosi delle nostre prerogative come consulenti di salute senza aspettare che le soluzioni piovessero dall’alto. In questa intervista, Farmacisti Al Lavoro vi porterà l’esempio di una di queste realtà virtuose: la farmacia Peretti di Villafranca, frazione di Verona. Vi racconteremo in particolare di come la sua titolare, la dottoressa Bianca Peretti, abbia saputo nei fatti trasformare la sua farmacia in un centro di riferimento per la salute pubblica sul suo territorio. E siamo convinti di riuscire a stupirvi, mostrandovi quanto questa dottoressa e i suoi collaboratori siano stati in grado di creare.

La dottoressa Bianca Peretti

La mia farmacia non sarebbe sopravvissuta se l’avessi gestita col modello tradizionale.

Buonasera Bianca. Partiamo dal principio: quando hai iniziato ad interessarti al tema dell’aderenza terapeutica? Ho una piccolissima farmacia in provincia di Verona, che non sarebbe sopravvissuta se non fossi riuscita a trasformarla in qualcosa di diverso dalla farmacia tradizionale. L’idea di occuparmi di aderenza terapeutica mi è sempre piaciuta, così come mi è sempre piaciuta l’idea di occuparmi concretamente della salute delle persone. Devo anche riconoscere che non ho alcuna attitudine per il commercio, quindi forse ho molti meno meriti di quello che sembra.

Nei nostri laboratori allestiamo la terapia personalizzata per i nostri pazienti.

Quali attività vengono svolte nella tua farmacia a supporto dell’aderenza terapeutica? Innanzitutto allestiamo dei contenitori monouso- che informalmente definiamo blisteroni– nei quali ripartiamo l’intera terapia del paziente. Al momento della presa in carico, il paziente firma un’autorizzazione che ci consente di sconfezionare i farmaci, custodirli per lui fino all’atto della dispensazione del blisterone e contattare il suo medico di base per ricevere e comunicare informazioni in merito alla terapia. Inoltre, in accordo con i medici di base, sottoponiamo i pazienti ai controlli da loro indicati per monitorare l’efficacia delle terapie. Per esempio, ad un paziente diabetico e iperteso il medico curante potrebbe chiederci di misurare una volta al mese la pressione arteriosa e la glicemia, ogni quattro mesi l’emoglobina glicata e ogni sei mesi la creatinina.

Su indicazione dei medici, effettuiamo controlli periodici di monitoraggio della terapia.

Come viene messa in pratica la collaborazione con i medici di base e le strutture ospedaliere? Con molta pazienza e determinazione. Tutto il processo deve essere trasparente e sempre aperto a correzioni ed aggiustamenti. Noi collaboriamo con medici ed ospedali per il bene dei pazienti e devono essere ben chiari e mai superati gli ambiti di operativi di ciascun professionista. Stabilire la terapia è compito del medico: per qualunque modifica ancorché minima- come spostare l’antiaggregante alla sera perché il paziente pranza fuori casa- è indispensabile l’autorizzazione del medico, che noi pretendiamo in forma scritta. Al tempo stesso, ottimizzare l’assunzione e far rispettare la terapia sono compiti del farmacista: pensa solamente alla scelta di compresse più piccole per coloro che hanno problemi di deglutizione.

Il nostro ruolo è anche quello di proporre al medico curante la razionalizzazione della terapia secondo schemi posologici più semplici.

Qual è il vostro ruolo nella gestione delle terapie dei pazienti? Abbiamo una parte molto attiva: spesso il paziente dimesso dall’ospedale ha una terapia difficile da decifrare anche per il medico di base, e gli orari legati ai ritmi dell’ospedale sono molto diversi da quelli applicabili nella vita reale. Pensa ai farmaci usati per il morbo di Parkinson: molti hanno un’emivita breve, e alcuni devono essere somministrati fino a cinque volte al giorno. Se a questi sommi i farmaci utilizzati per le altre comorbidità- perché magari il tuo paziente col Parkinson è anche diabetico e iperteso- viene fuori che il povero paziente dovrebbe assumere una compressa ogni ora, con tanti saluti all’aderenza terapeutica. Allora noi, sulla base del foglio di dimissioni ospedaliere e dei dati sulla terapia di base del paziente in nostro possesso, formuliamo una proposta di ripartizione terapeutica che poi inviamo per controllo e approvazione al medico di base. Oppure, quando ci accorgiamo che la terapia non viene rispettata, proponiamo al medico di base delle modifiche per superare le difficoltà. Per quei pazienti ai quali non allestiamo concretamente la terapia, se lo vogliono, compiliamo schemi terapeutici da attaccare al frigo per ricordare la terapia. Come protocollo di vendita, ci imponiamo di verificare sempre che il pazienti ricordi come si assumono i farmaci, e se ricorda sempre di prenderli. Inoltre organizziamo giornate di controlli gratuiti nei quali affrontiamo con i pazienti, oltre al tema della terapia, quello dell’alimentazione e dei più corretti stili di vita inerenti ai loro problemi. Naturalmente non si tratta solo di misurare qualche glicemia, ma di realizzare delle vere e proprie consulenze personalizzate.

Una volta al mese organizziamo eventi formativi per i collaboratori con medici specialisti.

Come vengono formati i collaboratori? Una volta al mese, viene in farmacia un medico specialista che ci spiega come supportare i pazienti con una data patologia, aiutandoci ad individuare i nostri possibili ambiti di intervento e consiglio. Abbiamo avuto pediatri, cardiologi, internisti, terapisti del dolore e dermatologi, tanto per farti qualche esempio. Devo dire che molti medici si sono mostrati entusiasti di fornirci queste importantissime informazioni, e con alcuni abbiamo intrapreso un bellissimo rapporto di collaborazione reciproca estremamente proficua per noi e per i pazienti.

Per i vari disturbi di nostra competenza, abbiamo individuato percorsi terapeutici e di consiglio condivisi.

Come vengono realizzati i protocolli di consiglio? Quelli di sostegno alle singole patologie croniche li abbiamo concordati con i medici di base, e sottoposti all’Asl per presa visione. Quelli di consiglio alla vendita si basano su una nostra valutazione della maggior parte dei prodotti, per singolo disturbo e sulla base di percorsi terapeutici condivisi.

Facciamo un esempio pratico: misurate un colesterolo, e vi viene fuori un valore di LDL di 180 mg/dl. Come vi comportate? La prima cosa che facciamo è porre al paziente una serie di domande riguardo allo stile di vita, all’alimentazione, alla familiarità per l’ipercolesterolemia. Dopodiché compiliamo un piccolo report, con il risultato dell’analisi e le informazioni raccolte, e lo consegniamo al paziente da portare al medico di base. Spetta al medico di base decidere se gestire quel paziente con una statina o, per esempio, rimandarcelo per consigliare un integratore.

Nella tua farmacia promuovete l’utilizzo dell’omeopatia? Non in modo particolare.

Questo modello di farmacia funziona, ed è in costante crescita.

Questo modello di farmacia ha mostrato, numeri alla mano, di essere premiante anche dal punto di vista economico? Allo stato attuale, seppure molti dei servizi siano offerti gratuitamente, comunque Il modello riesce ad essere economicamente soddisfacente. Ma quello che più conta è che siamo costantemente in crescita, sia per numero di pazienti coinvolti- ad oggi 200 al mese con i servizi relativi all’aderenza terapeutica- che per rendita vera e propria.

Spesso sono proprio i medici o i centri ospedalieri a contattarci per aiutarli nella gestione di pazienti complessi.

Quali sono state le più grandi difficoltà che avete affrontato nella costruzione di questo modello di farmacia? Molti penserebbero che abbiamo avuto difficoltà con i medici, che invece una volta capito il valore del nostro servizio si sono mostrati favorevoli, e in alcuni casi entusiasti. Qualche volta sono gli stessi centri ospedalieri a contattarci per la gestione di terapie complesse, penso ad un paziente inviatoci poco tempo fa per una leucemia mieloide cronica. Le più grosse difficoltà le abbiamo avute con i pazienti stessi: molti non amano essere “controllati” nelle terapie, altri pensano di potersi arrangiare da soli non percependo la complessità delle operazioni svolte nei nostri laboratori. Considera che per preparare un singolo blisterone abbiamo un protocollo scritto che prevede la firma di un tecnico e di due farmacisti. Infine, alcuni non comprendono l’importanza di fornirci tutte le informazioni sulla terapia, e alla fine i risultati si vedono: una signora che seguiamo aveva omesso di comunicarci che qualche mese prima le avevano aggiunto alla terapia due diversi dosaggi di levotiroxina a scopo sostitutivo. Lei aveva inserito il farmaco nella terapia senza consultarci, e alla fine i valori di TSH erano tutti sballati.

Quali sono i prossimi obiettivi che vi ponete, sempre a tutela della salute pubblica? Il passaggio logico successivo sarà l’applicazione di protocolli di gestione di una serie di patologie che è molto difficile gestire a domicilio. Prendiamo ad esempio l’insufficienza renale cronica: se pesiamo regolarmente il paziente con una bilancia impedenzometrica possiamo inviare regolarmente al medico il valore relativo alla quantità di acqua intra ed extracellulare e lui potrà molto più agevolmente stabilire la dose dei diuretici.

Nel prossimo futuro, nascerà una rete di farmacie che condividono questo modello di farmacia.

Ritieni che il modello di farmacia a cui ambite dovrebbe rappresentare uno standard? Considera che sta per nascere una rete di farmacie che condivideranno questo impegno. Non sarà chiaramente un lavoro per tutti, sia per il tipo di lavoro che bisogna fare, sia per il livello di qualità richiesto (vedi certificazione della farmacia o protocolli esecutivi per tutte le fasi di lavoro). La cosa importante è che i colleghi che vorranno aderire siano convinti e determinati a portare avanti un modello nuovo di farmacia, molto impegnativo, ma veramente fondamentale per la tutela della salute pubblica.

Ringraziamo la dottoressa Peretti per la disponibilità a realizzare questa intervista. Da parte nostra, ci auguriamo che questo modello di farmacia possa diventare, nel prossimo futuro, un modello di riferimento. La dottoressa Peretti ci ha inoltre promesso di tenerci aggiornati per quanto riguarda lo sviluppo di questa rete di farmacie: per non perdervi questo ed altri aggiornamenti ricordatevi, se non l’avete già fatto, di mettere il like alla pagina Facebook di Farmacisti Al Lavoro. Buon lavoro a tutti i farmacisti!

5 Commenti

  1. L’equazione Farmacista = Commesso andrebbe completata, perche’ se ti va male dietro il banco con tanto di camice bianco e caduceo potresti trovare anche un nèurone che nella sua convinta ignoranza ti dice di prendere medicine che sono controindicate per il tipo di disturbo presentato!

    • Naturalmente noi facciamo riferimento alla percezione del pubblico. Il lavoro del farmacista è complesso ma, come ha giustamente osservato Bianca Peretti, talvolta questa complessità non viene compresa dall’utente medio.

      • Quando l’utente medio incontra il farmacista medio si creano le condizioni migliori perché si rompa un rapporto di fiducia. La curiosità degli utenti viene meno e i farmacisti danneggiano la propria immagine.
        Tirare in ballo la complessità di un lavoro non può esimere o giustificare l’ignoranza di tanti farmacisti, soprattutto quando questa è rappresentata dall’omessa lettura di un elemento fondante la professione: il foglietto illustrativo. Certo, perché il foglietto illustrativo lo sa leggere anche l’utonto medio.
        Il farmacosta medio dovrebbe, personalmente, aver letto almeno una volta il foglietto illustrativo di ogni farmaco che dispensa, ma questo non avviene perché è un operazione faticosa e forse appannaggio di pochi appassionati, farmacisti al limite vs farmacisti al lavoro.
        Ritengo che i primi che devono, ripeto devono, comprendere e far comprendere la complessità della loro professione sono e devono essere i farmacisti non gli utenti delle farmacie.
        Mi fa tenerezza sentire alcuni farmacisti lamentarsi che gli utenti si sono disinnamorati del farmacista (del suo sapiente controllo sull’uso del farmaco) visto che credo che questa reazione altro non è che la conseguenza di una professionalità in svilimento e via più claudicante.

  2. Formulare “proposte” di modifica della terapia farmacologica non credo sia compito del farmacista, a ognuno il suo.

    • Ciao, ogni opinione è ben accetta ma è chiaro che non hai inteso il senso in cui nella farmacia della dottoressa intervistata vengono formulate queste proposte. Un saluto.

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